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Sono le ore 11:00 del mattino.

A quest’ora siamo spesso in frontiera, tra Medyka e Przemysl, nei vari centri di prima accoglienza per informare i vari responsabili del nostro progetto Pollicino.
La nostra missione è accogliere piccoli gruppi di rifugiati nella nostra casa in Polonia a Kielce per poi trasferirli su loro richiesta, in Italia nei Comuni della nella nostra Rete PCW.
In questa fiera della solidarietà al confine, dove ognuno tenta di fare la sua parte, siamo costretti piacevolmente a ripetere ai responsabili dei centri (che cambiano ogni due giorni) che siamo anche noi dei colibrì e “siamo qui per aiutare a spegnere il fuoco prima che bruci la foresta”.
Ogni volta che andiamo da quelle parti però, ci ritroviamo a dover azzerare le informazioni della volta precedente. “Noi portiamo acqua e qualcun altro alimenta il fuoco”.
I motivi sono essenzialmente due: il primo è il risultato di una evidente mancanza di coordinamento da parte di un organo centrale e governativo a cui fare riferimento per raccogliere le richieste dei rifugiati per cooperare con le organizzazioni esterne in modo fluido. Il secondo invece è legato all’improvviso sradicamento dei rifugiati dalla loro terra che, disorientati, non riescono ad immaginare un altrove in modo autonomo e quindi cambiano idea spesso su cosa fare e dove andare.

Al telefono vi dicono: “Venite qui, vi registrate e raccogliete le persone”.
Chiunque con un documento di identità può andare in frontiera e prendere chiunque.
Dove andranno però? Chi li seguirà? Sono al sicuro?
C’è una straordinaria macchina di solidarietà mossa dalla società civile ma nonostante il poco tempo trascorso qui, ho l’impressione ci sia un disordine organizzativo che non metta in condizione i rifugiati di essere seguiti dalla prima accoglienza nell’intraprendere un percorso di integrazione strutturato.

Avendo più il contesto, la scorsa Domenica 20 Marzo, ritorno per la terza volta in una settimana, nel primo centro di accoglienza di Medyka, allestito in una palestra della scuola elementare della cittadina, dove ho incontrato per la prima volta una nuova responsabile Pani (per 2 giorni) a cui espongo il nostro progetto Pollicino e l’opportunità (straordinaria) offerta da Caritas Italiana e Open Arms, di poter salire su uno dei 2 voli umanitari per l’Italia da loro organizzati.

Pani, si allontana per raggiungere la stanza delle innumerevoli brandine e a seguito di una verifica, torna da noi con una lista di 7 persone disposte a raggiungere una loro amica a Genova.
Era una mamma, con i suoi 6 bambini.
Chiamo Daniele, il collega della Caritas per confermare la disponibilità del volo previsto per il giorno 21 Marzo. Tutto pieno! Disponibilità solo per il 22. Fantastico!

Il giorno successivo torniamo nuovamente a Medyka a prenderli con il nostro furgone.
Et voilà! Me li ritrovo tutti a bordo.
Intanto, tra la Domenica e il lunedì avevamo già percorso 750 km.

Ripartiamo da Medyka per Varsavia dove i piccoli con la loro mamma Yulia avrebbero trascorso la notte prima del volo per Roma il giorno successivo.
Facciamo 6 ore di viaggio tra soste, registrazioni dati, traduzioni, call e cambio di pannolini.
Yulia mi racconta la sua storia che riesco a malapena a comprendere attraverso i documenti che con fatica abbiamo tradotto insieme.
6 figli, due compagni di vita. Con il primo non ha funzionato. Il secondo ha iniziato a bere e lei non l’ha più voluto.

Vengono da un paese della provincia di Kiev e per 10 giorni hanno attraversato l’Ucraina in sette. Anzi 8.
Pensate che il Peluche non faccia parte della famiglia? Vi sbagliate!
Dentro quel peluche ci sono ancora le salviettine imbevute che hanno garantito la pulizia dei bambini per tutto il viaggio. Ho capito che i peluche non sono solo amici da stringere per nascondere la paura, ma diventano veri e propri sostituti della figura materna che in questi soffici amici riusciva a contenere il peso, anche solo di qualche grammo nella corsa delle loro mamme.

 

Il viaggio continua così come continua la mia curiosità nel comprendere come i bambini possano aver vissuto questa fuga fino alla frontiera.
Io e Yulia continuiamo a scriverci e parlarci con i traduttori dei nostri telefoni.
Lei mi chiarisce tutto così:

E così cala il silenzio fino a Varsavia.
Non sento più schiamazzare nessuno nel retro.
Si erano addormentati tutti per risvegliarsi ancora una volta sulle brandine; le brandine del padiglione D11 dell’Expo di Varsavia.

Questa però sarebbe stata l’ultima volta prima di raggiungere finalmente la loro nuova casa a Genova.

Diamo il benvenuto a mamma Yulia, ai suoi 6 meravigliosi bambini e al loro instancabile peluche.

Di Giovanni Calabrese, responsabile del Progetto Pollicino