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Alla Conferenza Nazionale di Trieste, Impresa / Sociale, tra i vari relatori è intervenuto anche il Presidente Angelo Moretti, spiegando perché ogni impresa, da costituzione, dovrebbe coniugare la libertà dell’iniziativa privata con la capacità di creare ricadute sociali. Moretti ha inoltre colto l’occasione per parlare dell’idea di welfare che Sale della Terra sta portando avanti da anni con le proprie azioni, legando l’andamento di attività economiche con la creazione di coesione sociale, includendo nei processi di produzione le persone svantaggiate, in netta opposizione con quella visione di welfare “separatista”, che tende a creare forme di relegazione per le categorie fragili.

Di seguito il suo intervento:

«Secondo le normative italiane l’impresa in sé è già sociale di per sé, in quanto prevede che ci sia una funzione sociale. I padri costituenti, quando hanno scritto l’articolo 41, non sentirono il bisogno di distinguere tra impresa e impresa sociale, così come tra cooperazione e cooperazione sociale. Andrebbe evidenziato non chi è sociale, ma chi non lo è, in quanto andrebbe contro i principi dettati dalla Costituzione.

Noi non rappresentiamo una parte residuale o marginale ma siamo esattamente quell’impresa pensata da chi ha scritto la Costituzione.

L’idea di welfare ha subito diverse evoluzioni, in primis quando nel ‘78 Franco Basaglia, rivoluzionandone il concetto, immaginava una nuova forma di economia. Con la riforma del terzo settore, poi, culturalmente è successo qualcosa di importante.

Bauman ci dice che siamo passati da uno stato sociale a uno stato di incolumità personale, siamo scivolati lentamente nell’idea che uno stato sociale rappresenti una forma di protezione degli individui, lo stato sociale del 2022 è diventato un modo per difendere l’agio dal disagio. Si sono quindi create diverse strutture, ritrovandoci ora un welfare che si basa prevalentemente su logiche separatiste: dei bambini, degli anziani, dei migranti etc secondo la logica – errata – per cui separare vuol dire difendere.

Quello che è successo con le migrazioni è un dato da registrare come il grande smascheramento dell’economia sociale. Quando nel 2015 ci fu il picco degli sbarchi, con 180mila arrivi, gran parte dell’economia sociale si è organizzata con l’accoglienza nei CAS ma senza un vero stato sociale e, soprattutto, senza un’idea di integrazione né di inclusione, con l’idea di proteggere gli italiani separandoli dai migranti nei centri di accoglienza. Stesso discorso nelle carceri, dove un terzo dei detenuti sono migranti con pene legate a reati minori e un altro terzo sono tossicodipendenti, due categorie di persone in condizioni di marginalità.

Con lo scoppio della pandemia ci siamo accorti che nelle RSA, uno dei luoghi dove abbiamo vissuto più tragicamente il covid, gli anziani erano meno protetti rispetto alle comunità informali del sud Italia. Le RSA hanno preso il posto del welfare separatista.

Nel 2022 dobbiamo ripartire dall’immaginare l’impresa sociale non come un settore terziario, o come conto terzi per il pubblico, ma dobbiamo rigenerare l’economia.

Sale della Terra ha quest’idea del welfare: c’è quando non si vede, come il sale, che quando è poco non dà sapore e quando è troppo rovina gli alimenti. Quando è giusto non si sente.
Il welfare di qualità è, ad esempio, un bar dove riesci a vivere l’economia ordinaria senza accorgerti che stai facendo welfare, mentre stai creando coesione sociale.

Noi non siamo semplici erogatori di servizi ma una forma di impresa che immagina nuove dinamiche di coesione sociale.

La dilagante povertà educativa a cui assistiamo oggi condanna più di ieri i figli dei poveri, che non possono ambire a mestieri importanti; una situazione peggiorata rispetto agli anni 70, nonostante i fondi per le scuole siano aumentati notevolmente. Questo perché prima i fondi erano strutturati mentre oggi seguono logiche estemporanee, spesso non legata ad alcuna progettazione.

Oggi dobbiamo immaginare che la scommessa dell’impresa sociale sia di immaginarsi impresa, senza essere né pubblico né privato. Dobbiamo far coesistere l’iniziativa privata economica con la capacità di creare coesione sociale, allontanandoci dal concetto di quell’economia che crea esclusione quando si cala nel mercato.

L’agricoltura della Rete “Sale della Terra” non la chiamiamo sociale ma coesiva, ci sforziamo di dire ai nostri compratori che la nostra agricoltura crea coesione sociale in quanto è fatta da persone svantaggiate, recuperando quel valore originario dell’agricoltura che riusciva a creare legami tra le famiglie.

Il lavoro dell’impresa sociale così concepito diventa un lavoro politico. Se non abbiamo idea di come aprire il Mediterraneo, le RSA, le carceri, non abbiamo idea di cosa sia l’impresa sociale. Si parla di 56 milioni di persone che si muovono per il cambiamento climatico. Dobbiamo avere l’idea di come reagire ai cambiamenti altrimenti moriremo di asfissia.

Sale della Terra rispetto alla mobilitazione verso le città immagina che sia il caso di ripartire dalle comunità territoriali: tutto quello che non funziona nelle aree urbane si può realizzare nelle aree interne, nei piccoli comuni sotto i 5000 abitanti, nelle aree rurali, che sono le stesse, al contrario di quanto si pensa, che stanno decidendo i grandi cambiamenti politici contemporanei, dall’elezione di Trump alla Brexit, giusto per citarne due.»