di Francesco Boffa
Luigi Sparandeo, conosciuto da tutti come Gigi, è il punto di riferimento del Caffè dell’Orto: gran lavoratore, dietro a quel bancone coinvolge chiunque con la sua simpatia, la sua vitalità e il suo “essere compagno di tutti”. Ma le caratteristiche più evidenti sono una bontà d’animo e un’educazione che si notano nei gesti, nelle parole, nel suo modo di pensare, anche parlandogli per pochi secondi. Prima di arrivare lì, però, in quel posto dove tutti gli vogliono bene, ne ha passate di disavventure. La mia speranza è di rendere merito alla fantastica persona che è con questa breve intervista. Intervista che inizia dalla domanda: quando inizia il percorso che ti ha portato dove sei ora?
«Nel 2015 iniziai a fare il servizio civile con la Caritas. Mi trovavo in un periodo con tante difficoltà, senza lavoro, svolgevo una vita dove ero sempre in mezzo alla strada a non fare niente, quindi vidi la possibilità di fare il servizio civile come una porta che si apriva, come un modo per iniziare a svoltare. Cominciai, arrivò l’alluvione dopo pochissimo, e, appena dopo, una “alluvione personale” ancora più forte: fui arrestato per un reato, una cosa di un po’ di tempo indietro, per cui, alcuni anni dopo, sarei risultato assolto in formula piena. Ma lì per lì fu davvero un incubo: avevo appena trovato un piccolo lavoro, un impegno personale frutto della fiducia che mi avevano riposto, ripagato da quella che considerai come una bruttissima figura.
Il carcere è il punto più basso dove può arrivare una persona. Per un venticinquenne come me, riservato, lo considerai una vergogna, per mia mamma, per Angelo che mi aveva dato fiducia consigliandomi di iniziare il servizio civile, per tutte le persone che conoscevo e che mi volevano bene.
Ricordo che il primo mese di servizio civile era dedicato alle presentazioni, alla descrizione delle prime mansioni, poi arrivò l’alluvione e ci mettemmo tutti ad aiutare. La mattina andavo ad aiutare persone che non conoscevo, ho spalato, visto persone piangere, raccolto panni, ma ricordo in positivo lo spirito di solidarietà che si attivò.
Sono stato un annetto e mezzo tra carcere e domiciliari ma, come se fosse stato tutto un incastro, un destino, fu una bella sorpresa scoprire che non ero stato abbandonato. Angelo aveva capito che non c’entravo con quel mondo e fui preso in carico, una grandissima mano per me fondamentale.
Quando mi arrestarono, i ragazzi del servizio civile, che già si erano affezionati, mi mandarono una lettera e per me in quel momento, solo e triste, rappresentò un punto di riferimento.
L’ambiente del carcere non mi apparteneva per niente e già pensavo a come fare per proseguire il percorso già avviato. L’avevo capito due minuti dopo che ci entrai.
I servizi sociali li iniziai nella mensa della Cittadella della Caritas, dove sono stato per alcuni mesi, e fu un periodo davvero bello, l’inizio della rinascita. Mi è sempre piaciuto aiutare gli ultimi e lì lo capii davvero; mi sentivo gratificato e mi serviva questa sensazione, avrei potuto fare i domiciliari ma intendevo restituire la fiducia che mi fu riposta.
Conobbi gente di cuore, brave persone che mi insegnarono tanto. Onaide e Delia, per citarne due, mi diedero tantissimo. Poi arrivai al Caffè dell’Orto, che allora era nella fase iniziale.
Nel 2011 avevo già avuto un’esperienza come barista e, quando ero ancora ai domiciliari, dopo che l’esperienza in Caritas fu positiva, Angelo pensò che il bar in avviamento al Caffè dell’Orto potesse fare al mio caso. Con il senno di poi, una grande intuizione, come spesso gli è capitato.
Feci il colloquio con Donato De Marco, allora responsabile dell’orto, che mi raccomandò di comportarmi in un certo modo: non me lo feci dire due volte. Quando sono arrivato sia Donato che Francesco De Marco, con Evelyn, sono stati la mia spalla di vita e sono stato fortunato a condividere per tanto tempo la mia quotidianità con loro».
Prima esperienza all’orto, prime impressioni?
«Subito belle, subito coinvolto dalla bellezza del posto e da chi ci lavorava. All’epoca non c’erano tutte le persone di ora, ma comunque, essendoci Donato, la pace non c’era mai – ride – e per me è stato il vero esempio di come si lavora nella vita. Se all’inizio potevo pensare di venire solo a scontare la pena, vedendo lui arrivare col trattore, zappare, non fermarsi mai, mentre io ero lì seduto a fumarmi la sigaretta, mi fece capire da solo, in breve tempo, che dovevo quantomeno provare a pareggiare il suo impegno. Mi stimolò tantissimo e poi ci misi molto del mio: lavoro, impegno, dedizione furono gli strumenti per allontanare la mia vita precedente e affacciarmi a una nuova. Una svolta, mi sentivo a mio agio in questa vita e non nell’altra. Qui ero tranquillo, stavo bene, nell’ “altra vita” ero invece spesso nervoso.
Poi la struttura è cresciuta gradualmente fino a diventare il fantastico luogo di tendenza che è ora.
Francesco per me ha grandissimi meriti in questo, mi piace molto come riesce a farci stare bene, non si pone mai sopra e con l’umiltà riesce a porsi come un riferimento per tutti. Ci ha sempre messo in condizione di farci fare bene e con il suo esempio mi sentivo stimolato a fare sempre meglio. E, sentendomi questo posto dentro ogni giorno di più, mi veniva naturale impegnarmi sempre di più».
Sono d’accordo con te e l’ho vissuto spesso in prima persona – lo interrompo – se ragioni da dipendente, pensando a quando arriva l’ora in cui stacchi, quel posto non fa per te. Purtroppo è la concezione del lavoro a cui molti sono abituati ma, se riusciamo a incrociare la passione, anche la produttività aumenta.
«Esatto: e dentro di me sentivo anche che, se mi fossi impegnato, sarei poi stato gratificato. Non ho mai chiesto aumenti, cambi di posizione, ma sono cose venute da sole. Le relazioni umane sono tutto in queste situazioni. I primi 2 anni sono andati così e poi ho capito che si potevano fare ottime cose e che era la mia strada. Poi, nel 2018, è nata la mia reginetta che mi ha cambiato ulteriormente la vita. Sembra una frase fatta ma è davvero così, una figlia ti cambia la prospettiva, le priorità, ho capito davvero cosa significa dedicare la vita a una persona. Mi ha aiutato moltissimo guardarla quando era neonata per capire che stavo andando nella giusta direzione che avrei fatto di tutto nella mia vita per non farle mai mancare nulla».
Facciamo un passo indietro: quando conosci colei che è la tua attuale compagna?
«Poco prima del servizio civile ma non era una ancora cosa seria. Quando uscii capii che mi voleva davvero bene perché voleva continuare a vedermi, mi aveva aspettato e non aveva alcun pregiudizio su ciò che mi era successo. Quando fui arrestato pensai, tra le prime cose, che l’avevo persa: fu davvero bello ritrovarla, ricominciare in maniera graduale la frequentazione, vedere che anche lei aveva capito quanto fossi ostinato a cominciare una nuova parentesi di vita. Anche se in quel momento decisi di essere altruista: non volli coinvolgerla nelle mie vicende, né tantomeno “sfruttarla” per starmi vicino nel momento di difficoltà. La mia intenzione fu risolvere ogni problema, finire i domiciliari, per poi godermi il rapporto al meglio, come per fortuna è stato».
Altra esperienza molto bella e significativa fu quella politica con Civico22. Come nacque la cosa?
«Angelo mi chiese se avessi voglia di candidarmi, se me la sentissi di mettermi in gioco».
Immagino, conoscendoti, quanto fu particolare per te questa scelta.
«Esatto, mai avrei pensato a una cosa del genere. Qualcuno che conoscevo mi sconsigliò di farlo ma io andai dritto per la mia strada. Lo volevo fare nonostante fosse un mondo che non mi apparteneva, ma vedendo i nomi scelti, molti dei quali ragazzi come me, mi convinsi. Ci impegnammo molto, andando nei quartieri più problematici, conobbi molte persone, e nonostante l’idea del comizio all’inizio mi metteva tensione, poi, appena presi il microfono nel primo comizio qui all’orto, mi divertì e, insieme, mi tranquillizzò il fatto che tutti i miei amici e conoscenti venuti a sentirmi, non appena presi la parola, mi applaudirono e urlarono il mio nome, quasi un’ovazione. Per una persona timida come me questo aiutò a sciogliermi e a superare alcune barriere».
Tanti pezzi che si sono incastrati: da Angelo che ti volle aiutare all’inizio, alla brutta esperienza che però ti diede l’impulso definitivo per abbandonare certi ambienti e frequentarne altri, il ruolo al bar, la candidatura, l’amore sbocciato nonostante il “periodo di pausa”, la bimba, un ambiente che ti vuole bene. Sembra un puzzle che pian piano si è composto. Ora com’è il tuo stato d’animo rispetto alla tua vita?
«Ora sono assolutamente soddisfatto della mia vita e non la cambierei con niente al mondo. Mi piace svegliarmi ogni giorno e fare quello che faccio, e tu che lo vivi con noi lo sai. Ovviamente ci sono giornate in cui si lavora tanto e sei sotto stress ma quando ogni giorno finiamo, ci beviamo una birra insieme, parliamo di com’è andata come se fossimo una famiglia, la gratificazione è tanta e mi fa dimenticare ogni nota negativa. I miei colleghi, Welly, Alessandro, Mamadou, Vincenzo, Simone, Roberto, Asma, Omar, Jedi che da poco è andato via ma con cui abbiamo condiviso tanti bei momenti, sono tutti fantastici e ci vogliamo un mondo di bene».
Progetti per il futuro?
«Il progetto più bello è legato a una notizia di pochi giorni fa, che mi ha mandato in estasi: presto la famiglia si allargherà, siamo in attesa! Davvero non potrei essere più felice di come sono ora».