Il 6 dicembre, presso l’Auditorium Spina Verde “A. Tanga” di Benevento, si è tenuto un Workshop organizzato dal nodo territoriale di Benevento del progetto PFP – Progetti Formativi Personalizzati con Budget Educativi. L’incontro è stata l’occasione per discutere dei Patti Educativi di Comunità, strumento introdotto dal Ministero dell’Istruzione in occasione del piano scuola 2020/2021 (nel quale sono stati indicati come modello per garantire la ripresa delle attività scolastiche dopo il Covid) per dare alla comunità la possibilità di lavorare insieme per prevenire e combattere la povertà educativa e la dispersione scolastica, fenomeni sempre più in crescita. Fenomeni che la costituenda Fondazione di Comunità di Benevento punta a contrastare. Secondo il Prof. Ugo Morelli bisogna superare la visione convenzionale della scuola curando maggiormente le relazioni. Intervenuta anche Raffaela Milano di Save the Children, che ha elogiato la capacità dei patti educativi di comunità di creare un lavoro di rete. Morniroli: I patti possono e devono diventare luoghi dove il protagonismo dei ragazzi va affiancato a quello delle famiglie, facendosi carico anche dei bisogni di quest’ultime. Cantisani ha esposto il modello delle Scuole Aperte e Partecipate in Rete
Prima di aprire il focus sui patti educativi di comunità, Moretti ha citato lo strumento dei Budget Educativi, già promossi dalla Rete “Sale della Terra” di cui è il Presidente, tramite il progetto PFP, nell’ambito del quale sono stati costruiti dei progetti personalizzati a misura delle ambizioni e delle attitudini degli studenti, coinvolgendo circa 100 classi in 9 regioni italiane ed 11 province tramite la collaborazione di 48 partner.
Una riflessione sulla sede del workshop ha preceduto l’avvio agli interventi: «Nel 2018 entrammo abusivamente in questa struttura, che allora era decadente e vederla ora, messo a nuovo, fa ben sperare. L’augurio è che non sia chiuso al quartiere ma che sia un luogo del quartiere.»
Angelo Moretti, Vicepresidente del Comitato “Verso la Fondazione di Comunità di Benevento”, nella veste di Moderatore, ha introdotto l’incontro di martedì 6 dicembre parlando proprio del ruolo della costituenda Fondazione di Comunità sull’argomento scuola ed educazione, ponendo tra i propri principali obiettivi il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica.
Carmen Coppola, Assessora alle politiche sociali del Comune di Benevento, ha salutato i presenti parlando dell’ecosistema complesso entro cui si identifica una comunità educante, con il coinvolgimento di una pluralità di attori, scuola e famiglia in primis e, a seguire, gli enti locali, i centri decisionali da cui passa la definizione delle pubbliche territoriali, e le realtà territoriali, seguendo il principio per cui non bisogna limitarsi a “fare scuola” dentro le mura scolastiche, risulta bensì necessario collaborare con le associazioni, le organizzazioni pubbliche e private, le cooperative, le imprese sociali e tutti quei componenti di quella comunità educante che accompagna i giovani nel loro percorso educativo, ragionando in un’ottica più sistemica, in sinergia e in rete per il futuro dei giovani.

Giuseppe Marotta, Presidente del Comitato Scientifico della costituenda Fondazione di Comunità di Benevento, ha introdotto il proprio intervento sottolineando che il principale obiettivo della Fondazione è aumentare la qualità della vita tramite tre principi portanti: solidarietà, dono e responsabilità sociale.
«Viviamo in una società complessa le cui soluzioni vanno trovate a livello locale, vivendo il territorio come un bene comune da tutelare. La povertà didattica è collegata a quella economica, l’uomo deve essere al centro dello sviluppo, che non sia quello capitalistico che tende a creare esclusioni; per questo ci ispiriamo ai principi che regolano l’economia civile, basati su reciprocità e fraternità e finalizzati non al profitto ma al bene comune.»

Il Prof. Marotta ha concluso il suo intervento specificando che le donazioni su cui si regge la Fondazione di Comunità non sono solo di tipo economico ma anche a livello di competenze. La Fondazione, sostanzialmente, rappresenta infatti un hub culturale e scientifico con al suo interno competenze ed esperienze che possono aiutare anche nella progettazione specifica dei patti educativi.
Moretti ha poi aperto una parentesi sul progetto PFP, finanziato nel 2018 dall’Impresa Sociale “Con i bambini”, che ha avuto il merito di dare il via ad un nuovo modello personalizzato di intervento.

A seguire parola a Barbara Cutispoto: «Come coordinatrice del nodo di Benevento del progetto PFP ho avuto modo di sperimentare la delicatezza del ruolo degli adulti nella crescita formativa degli studenti. Come educatrice, invece, sperimento quotidianamente la necessità dei ragazzi di essere ascoltati e visti.
Il metodo PFP è risultato vincente perché basato su un lavoro di squadra: le scuole che segnalano i casi di povertà educativa, le sentinelle dell’inclusione che affiancano gli studenti, i coach, le referenti del progetto, i co-gestori che sono il fulcro della Rete, la Cooperativa Lentamente che in piena pandemia ha creato le aule diffuse, la compagnia teatrale SOLOT che ha aperto i propri spazi agli studenti, e i quattro comuni, Vitulano, Torrecuso, Apice e Cerreto Sannita, che siamo contenti di ringraziare per il contributo dato nel periodo pandemico, quando hanno messo a disposizione gli spazi pubblici per ospitare le aule digitale diffuse. »
I sindaci dei quattro comuni sono stati quindi ringraziati con la consegna di una targa di riconoscimento.
Ugo Morelli, Saggista, Psicoterapeuta e Docente di scienze cognitive, è stato il primo dei relatori a prendere la parola: «È stato un grande onore far parte del gruppo che ha promosso dal 2018 i Progetti Formativi Personalizzati. Ho la direzione scientifica di un altro progetto, chiamato “Di bellezza si vive”, anch’esso finanziato dall’Impresa Sociale Con i Bambini, che è basato sui medesimi principi.
In merito all’impoverimento educativo dobbiamo chiederci: dove fallisce il sistema?
La risposta è che il sistema educativo risulta fallimentare a partire dalla gestione delle emozioni nelle relazioni primarie, fino alla scuola e arrivando all’università. Perché? Cito un dato dell’UNESCO che ritengo rappresentativo del problema: fatto 100 il numero dei saperi di cui dispone un diciottenne, meno del 20% è acquisito nei confini dei sistemi educativi convenzionali.
Una delle ragioni, oltre a quelle sociali, è che adottiamo metodologie educative obsolete rispetto a ciò che sappiamo ora, tramite studi degli ultimi anni sulla mente umana.
Bisogna oltrepassare l’insegnamento inteso come trasmissione di saperi. Tra i banchi di scuola ci si passivizza senza considerare le curiosità e le emozioni.»
Curare le relazioni, per il Prof. Morelli, è la strada maestra per superare la visione convenzionale di scuola.
Raffaela Milano, Direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children, ha parlato innanzitutto della genesi dei patti educativi di comunità, voluti dalla Rete EducAzioni già in piena pandemia e che partono dall’esigenza di allargare gli spazi per condurre politiche educative.
«In pandemia, quando i docenti entravano nelle case, sono cadute molte barriere, creando nell’emergenza una risposta che in tanti di noi ipotizzavano, ovvero la creazione di una comunità educante. La responsabilità educativa non può essere sostenuta solo dalle scuole, solo dalle famiglie o solo dal territorio, ma da un lavoro di rete in cui tutti gli attori sono connessi e mirano allo stesso obiettivo.
Il successo formativo non si può ottenere senza il benessere scolastico e senza dare voce agli studenti: la scuola e l’extra scuola partecipano a una missione comune. Save the Children ha introdotto nel 2014 il termine povertà educativa come l’impossibilità di costruire liberamente il proprio futuro: non possiamo ottenere un successo formativo in assenza delle possibilità di far fiorire le proprie competenze.
Cosa fare ora? La debolezza che vedo nei patti è il passo diverso rispetto alle regole amministrative e decisionali su cui si basa la scuola. Il patto avrà un futuro se riuscirà a esser un presidio di lettura del territorio e a orientare gli sforzi della comunità per raggiungere determinati obiettivi.»
L’intervento si è concluso con l’esposizione di tre aspetti qualificanti che devono caratterizzare un buon patto educativo di comunità, ovvero: la combinazione tra il comunitario e il personale, l’avere un obiettivo di cambiamento, misurando anche i fallimenti, e il protagonismo e la centralità dei ragazzi e delle ragazze, che devono avere la libertà di esprimersi, di scegliere e di essere ascoltati.
È poi intervenuto Francesco Vasca, Professore Ordinario di Automatica Università degli Studi del Sannio e Coordinatore valutazione ed impatto Progetto PFP, affermando che l’analisi del disconnesso risulta l’antitesi per gli studiosi delle reti.
«Con il progetto PFP, su 6 istituti delle medie, per un totale di 4700 studenti, non cercavamo solo chi superava il 25% di assenze e andava direttamente sotto la bocciatura ma chi anche rischiava soltanto e palesava qualche difficoltà. Su un’analisi di 2 anni abbiamo notato che all’aumentare dell’età diminuiva anche il numero di assenze. Effettuando poi la mappatura della dispersione scolastica è risultato che determinate aree mostravano un legame più forte e diretto con l’aumento delle assenze.»
L’importanza del mondo universitario, per creare connessioni e formare la comunità educante, è stata ribadita da Angelo Moretti per chiosare l’intervento del Prof. Vasca.

Parola ad Andrea Morniroli, Co-portavoce del Forum Disuguaglianze Diversità e della Cooperativa Sociale Dedalus, che ha ripreso il concetto espresso dal Prof. Morelli di non utilizzare la terminologia “ultimi” in ambito didattico che potrebbe limitare l’emersione dei talenti.
Nei patti educativi un ruolo importante è assunto dalla cultura e dall’arte, in quanto riescono a mettere insieme conoscenze di tipo diverso.
Morniroli ha poi affermato il problema “di classe”, che vede la gran parte degli studenti in povertà educativa identificarsi nei “figli dei poveri”; dato evidente anche dalla realtà che vede gli stessi studenti, a parità di voti, iscriversi ai licei o agli istituti tecnici, con il solo criterio della disponibilità economica delle famiglie a guidarli nella scelta. Oltre ai divari economici delle singole famiglie, anche i divari tra i territori fanno emergere chiare differenze, con molti numeri negativi che si concentrano nelle aree del mezzogiorno.
I patti educativi non sono luoghi pensati come svuotamento della scuola, ma dovrebbero rafforzarla; non sono luoghi per vincere qualche progetto ma degli spazi per valorizzare le pratiche migliori, per incanalare risorse per non disperderle. I patti devono diventare luoghi dove il protagonismo dei ragazzi va affiancato a quello delle famiglie, facendosi carico anche dei bisogni di quest’ultime.
«Il rischio che un patto di comunità diventi un progettificio – ha affermato Moretti – dove distribuire gli appalti è assolutamente da evitare. È molto importante, per questo, la co-progettazione tra le associazioni del terzo settore e le scuole.»

Gianluca Cantisani, Responsabile del progetto Scuole Aperte Partecipate in Rete e Presidente del MoVI nazionale, ha dichiarato che in Italia l’emergenza educativa non può essere appannaggio esclusivo di determinate realtà: il Movimento Volontari Italiani, infatti, si è concentrato negli ultimi anni per ripristinare il “pezzo mancante”.
«In Italia siamo abituati a delegare ma l’articolo 118 della Costituzione ci dice che ognuno può attivarsi se sta affrontando tematiche di interesse generale.
Da genitore – ha aggiunto Cantisani – mi sono ritrovato in un’area dove non c’era un parco, uno spazio di aggregazione. Recuperammo 4000 mq nella scuola “Di Donato”, con un’associazione di genitori organizziamo attività pomeridiane, con i genitori che hanno le chiavi della scuola e che ogni anno riescono a raccogliere circa 200.000€.
Come il progetto della Fondazione di Comunità spiegato all’inizio, che va a colmare quei buchi che sono la chiara dimostrazione dell’assenza della politica. In questo caso le sentinelle in una scuola aperta sono i genitori che diventano tutor di altre famiglie.»

L’ultimo intervento, di Tiziana D’Aniello, Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo “Don Bosco Verdi” di Qualiano (Napoli), si è focalizzato sull’analisi delle realtà in provincia di Napoli, investite dal fenomeno della povertà scolastica, aumentato a dismisura alla chiusura delle scuole in pandemia, escludendo chi non aveva possibilità di connettersi. “Dispersi in rete” è il titolo del progetto che non fa riferimento ai soli ragazzi.
«Abbiamo previsto la gravità del problema dispersione una volta aperte le scuole, e così è stato.
Abbiamo formato i docenti sul diventare una figura di contrasto alla dispersione. Formare docenti non professionisti del sociale significava formare sul vissuto dei ragazzi e sulle relazioni. Abbiamo lavorato su formazione e mediazione scolastica, fornendo ai docenti strumenti di resilienza.
Coltivare le relazioni interscolastiche, inter-scolastiche e inter-istituzionali: tutte dimensioni raggruppate in una consapevolezza di attivare meccanismi, fornendo ai docenti strumenti pratici di comunicazione con le famiglie, senza accusarle ma dialogando e creando complicità. Stessa cosa per i protocolli d’intesa con i comuni, cercando di gestire il quotidiano lavorando fianco a fianco con gli assistenti sociali e gli operatori dei servizi sociali.»

La giornata si è conclusa con l’esibizione di “Benevento Rap Lab”, gruppo nato al termine di un laboratorio musicale svolto nel nodo territoriale di Benevento del Progetto PFP, con i ragazzi introdotti dal rapper Shark Emcee. Quest’ultimo ha presentato l’esperienza vissuta, che l’ha visto coinvolto nella figura di coach del laboratorio hip-hop di cultura rap, confluito nella pubblicazione di un singolo inedito con cui il gruppo ha già avuto modo di esibirsi pubblicamente in diverse occasioni.
FOTO DI GIANPAOLO DE SIENA